Mafia migrante Nigeriana in Italia, confermata in Cassazione l’inchiesta della Mobile di Ferrara

Operano in tutto il mondo, dall’Australia al Canada, e da anni si sono radicati anche in Italia. Si finanziano con il traffico di droga, la tratta di esseri umani, le frodi informatiche.

Stefano Perelli, ex ispettore della Squadra Mobile di Ferrara, oggi consigliere comunale, ha guidato una delle indagini più complesse e decisive contro la mafia nigeriana in Italia. Una battaglia iniziata nel silenzio e finita con un verdetto storico: la Cassazione ha confermato la natura mafiosa dell’organizzazione sgominata nel 2019.

Qui puoi approfondire un report “Focus sulla mafia nigeriana in Italia” – Polizia di Stato

Anni senza dormire, 87mila telefonate da tradurre, codici da decifrare. Ma alla fine, abbiamo fatto la storia.

Spaccio, prostituzione, estorsioni e omertà.

La mafia nigeriana operava con struttura gerarchica, rituali di affiliazione e un linguaggio cifrato. Dominava il mercato della droga, gestiva la prostituzione, imponeva il pizzo perfino sui mendicanti. Chi parlava, spariva. Chi si ribellava, pagava. Il tutto in pieno centro Italia, a Ferrara, ma con legami fino a Torino, Milano, Modena, Parma e Reggio Emilia.

Il cuore dell’inchiesta: la III sezione della Mobile.

Un gruppo ristretto di agenti – non più di sette – lavorò per mesi a ritmo serrato. “Il pm ci chiamava anche alle cinque del mattino”, ha raccontato Perelli. Il materiale raccolto era enorme: 87mila intercettazioni in inglese pidgin, yoruba e altre lingue locali. Decifrarle ha richiesto l’aiuto di mediatori culturali e settimane di analisi per ogni conversazione. Ogni parola aveva più significati: una frase poteva indicare uno scambio di droga, un’aggressione, una punizione interna. Nulla era detto per caso.

Un’inchiesta nata dal basso.

Tutto è partito nel 2017 da un’indagine sullo spaccio al Gad, il quartiere attorno alla stazione. I poliziotti notarono un modello ricorrente: la gestione dei pusher rispondeva a una logica militare. Gli spacciatori cambiavano spesso cellulare, si muovevano in coppia, non parlavano mai con gli italiani. Quando venivano arrestati, nessuno parlava. “Abbiamo capito che dietro c’era qualcosa di più grande”, ha spiegato Perelli.

Il riconoscimento giuridico: mafia a tutti gli effetti.

Il processo di primo grado si è chiuso con 14 condanne. In Appello, la Corte ha riconosciuto l’articolo 416 bis del codice penale: associazione mafiosa. Ora anche la Cassazione ha confermato il verdetto. È la prima volta che in Emilia-Romagna un’organizzazione criminale nigeriana viene riconosciuta come mafia. Un precedente pesante, che potrà avere effetti su inchieste analoghe in tutta Italia.

Chi sono i Black Axe.

L’organizzazione al centro dell’inchiesta è un culto criminale nato in Nigeria: i Black Axe. Si tratta di una confraternita con simboli, giuramenti e gerarchie ben precise. Operano in tutto il mondo, dall’Australia al Canada, e da anni si sono radicati anche in Italia. Si finanziano con il traffico di droga, la tratta di esseri umani, le frodi informatiche. A Ferrara, erano diventati una presenza costante: intimidivano i connazionali, controllavano l’accattonaggio, punivano chi usciva dai ranghi.

Un lavoro che ha cambiato la città.

L’inchiesta ha avuto un impatto diretto sul territorio. Dopo gli arresti, il controllo dello spaccio è crollato. Le zone calde si sono svuotate. Ma Perelli avverte:

Il rischio di una nuova ondata resta. Non possiamo abbassare la guardia.

La politica e la giustizia.

Oggi Perelli siede tra i banchi della Lega in consiglio comunale. Rivendica il lavoro svolto dalla polizia: “È stato un lavoro di squadra, senza risorse straordinarie, solo con la volontà di capire cosa stava accadendo davvero sotto i nostri occhi”. E lancia un appello:

Lo Stato non può girarsi dall’altra parte. Se il crimine si organizza, la risposta dev’essere organizzata.

Ferrara, da città di provincia a fronte della criminalità internazionale.

Quella che era una tranquilla città emiliana è diventata un laboratorio giudiziario. Qui si è fatto un passo avanti decisivo nel riconoscimento delle mafie straniere come veri e propri poteri criminali. La mafia nigeriana, da oggi, non è più un’ipotesi. Chi accusava di razzismo dovrà rassegnarsi: è un fatto giudiziario.

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