A Monfalcone, provincia di Gorizia, sette bambini su dieci nelle scuole dell’infanzia comunali sono figli di stranieri. Il dato ha riacceso il dibattito sulla cosiddetta “sostituzione etnica”, quel fenomeno sociologico che riguardala sostituzione di un’etnia con un’altra.
Per ora, si tratta di un caso estremo in Italia
Monfalcone conta 30.000 abitanti. Il 30% è composto da cittadini stranieri. Nelle scuole il rapporto si rovescia. In alcune sezioni, gli italiani sono la minoranza netta. La comunità più presente è quella bengalese, seguita da kosovari e macedoni.
La scelta della sindaca: tetto al 45%
“Non è razzismo, è realtà” dice la sindaca Cisint, che ha imposto il limite del 45% di alunni stranieri per classe. La decisione è finita in tribunale. Il Tar l’ha bocciata, ma il Consiglio di Stato l’ha confermata, riconoscendo il “problema dell’integrazione linguistica”.
Le famiglie italiane reagiscono con le iscrizioni altrove
Molti genitori scelgono scuole private o comuni vicini. Il risultato è che la concentrazione aumenta, e le sezioni a maggioranza straniera diventano la norma.
Un cambiamento che divide
I numeri parlano chiaro: in alcune aree del Paese, l’identità culturale italiana sta soccombendo e, nel giro di qualche generazione sembra destinata a sparire.
Monfalcone non è un caso isolato
Situazioni simili si registrano a Sesto San Giovanni, Brescia, Pioltello, e in vari quartieri di Torino e Bologna. Il fenomeno non riguarda solo l’istruzione, ma anche, a cascata, occupazione, imprenditoria, lavoro, religione e spazi pubblici.
La parola controversa: “sostituzione etnica”
Il termine “sostituzione etnica” è stato a lungo controverso, causa di censure e ostracismo, ma l’evidenza ne dimostra ormai la fondatezza. Al di là delle etichette, il punto resta: cosa succede a una comunità quando la maggioranza etnica autoctona ospitante viene fagocitata dai migranti ospitati?